Dalla città dolente
Abstract
In questo articolo si espone l’idea che l’Inferno di Dante possa essere inteso come metafora di un Carcere contemporaneo. Nell’istituto penitenziario di Roma Rebibbia i detenuti-attori, resi celebri dal film Cesare deve morire dei fratelli Taviani, riflettono sui concetti di colpa, pena, pietas, speranza, liberazione attraverso le visioni della Commedia. Sul palcoscenico del carcere Dante torna a rivelarsi come poeta senza tempo, capace di parlare dell’umano agire e patire con parole e idee sempre attuali e trasversali a tutti i contesti sociali e culturali. Mediante traduzioni multilingue (inglese, spagnolo, persino cinese) e multidialettali colte, le terzine diventano poesia del dolore penitenziario ed il loro ascolto può produrre negli spettatori, ma anche negli interpreti detenuti, un effetto emotivo e spirituale che potrebbe essere paragonato all’idea aristotelica della catarsi.
Parole chiave
Carcere, Teatro, Rebibbia, Cesare deve morire, Libero arbitrio, Catarsi, Catone, Bruto, Cassio, Crimine, Colpa, Peccato, Pena, Tradimento, Salvatore Scervini, Emanuele Banfi, Ugolino, Ciacco, Filippo Argenti, Paolo e FrancescaRiferimenti bibliografici
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